Mese: marzo 2018

Quella volta a casa di Gillo Dorfles

L'intervista del 2008
Di Fiore de Lettera

E’ una delle più belle foto di Gillo. Ieratico, nella sua altera e compiaciuta inespressività. Volle regalarmi l’originale per ringraziarmi dell’intervista – pensate un po’ – che avremmo inserito in un mio piccolo libro. Parlammo di design e della storia del ‘900, di creatività e ispirazione, di miti e maestri, e alla fine gli chiesi: “Qual è l’oggetto che avresti voluto disegnare?” E lui: “la Porsche Carrera, senza alcun dubbio”. Era il 2008 e di anni ne aveva appena 97…

Il tratto principale del suo carattere?
Io non lo so, sono gli altri che dovrebbero dirlo.

 

Il suo più grosso difetto?
Credo di averne tanti, non riesco a definire il principale.

 

In che città vorrebbe vivere se non abitasse a Milano?
In qualsiasi altra città.

 

La cucina che preferisce.
Naturalmente quella italiana, e preferisco quella siciliana.

 

Il suo libro preferito.
Non c'è né assolutamente, perché ne preferisco troppi.

 

Lo sport che l’appassiona.
L'equitazione che ho praticato in cavalleria, poi lo sci per diletto, e poi la scherma dove ho anche vinto alcuni campionati.

 

Il primo ricordo di un oggetto a lei caro?
Non ricordo oggetti cari, essendomi sempre occupato di troppi oggetti per averne uno preferito su gli altri.

 

Gli oggetti che ama?
Tutti quelli che ho intorno a me, che ho raccolto negli anni.

 

E quelli che detesta?
Tutti quegli oggetti che appartengono ad una falsa modernità.

 

Cosa pensa di una casa controllata da computer e apparecchiature elettroniche?
Naturalmente è l'opposto di quello che piace a me, la casa deve sapersi liberare e affrancare dall'eccesso di tecnologia.

 

Che rapporto ha con la casa in cui vive?
Discreto e accomodante.

 

L’ambiente che predilige?
Soprattutto l'ambiente dove scrivo e disegno, e svolgo qualcosa della mia attività.

 

Un architetto, un designer, un artista.
Come architetti preferisco segnalarti Hollein e Gehry, come designer Mari, De Lucchi e il vecchio amico Sottsass, per gli artisti è ancora peggio, diciamo Klee, perché fare solo pochi nomi non è giusto.

 

Cosa pensa del design attuale?
Il design attuale si trova in una situazione delicata, perché avendo superato la fase iniziale in cui si staccava dall'artigianato, alla fine del secolo scorso, e dopo aver attraversato una fase di funzionalità di schemi con il rapporto forma-funzione, e aver anche attraversato il decorativismo che si ribellava alla purezza funzionale dell'epoca del Bauhaus, oggi il design è in una posizione molto critica, perché sta a cavallo tra una volontà di ripresa ornamentale e una volontà di purezza formale. Cinquanta anni fa il design era agli inizi; oggi, quasi non c'è più neanche la novità della professione, c'è un appiattimento sia nella professione sia nell'imprenditoria.

 

Pensando al design, quale periodo predilige?
Gli anni ‘60-’70, perché dopo gli anni di consolidamento di ULM, sono stati anni di diffusione e maggior fantasia applicata ad un design già consolidato. Per arrivare ad una fase di declino che è partita dalla fine degli anni ‘70.

 

Cinque oggetti di design che ama o ha amato?
La lampada di Mangiarotti, le ceramiche di Mari, la lampada “Toio” di Castiglioni, la sedia “Tonietta” sempre di Mari, e l'ultima Porsche Carrera 4.

 

Quale avrebbe voluto progettare Lei?
Sicuramente la Porsche.

 

L’arredamento della sua casa.
Sicuramente un mix; come vedi, trovi una lampada liberty, un’altra lampada e oggetti vari di Magistretti, e dei mobili dei miei nonni. (Se un mobile è antico e di famiglia, ed è originale, in qualsiasi casa sta bene).

 

Non ha mai pensato di progettare qualcosa?
No, non ho mai pensato di progettare niente, ho visto troppi progetti di altri.

 

Cosa rimpiange?
Rimpiango per esempio, di non aver applicato tutta la mia potenzialità alla pittura e all’arte, invece di fare il professore universitario, avrei potuto dedicarmi a queste due discipline.

 

Cosa pensa dell’intuizione?
Non c’è creazione artistica che non abbia intuizione. La curiosità e l’intuizione, come la percezione e la creazione, come la fantasia e il progetto sono intuizione.

 

Che rapporto ha con la tradizione?
La tradizione è fondamentale perché è la base della nostra formazione, va sempre superata, dopo averla studiata precedentemente.

 

Della sua città cosa le piace e cosa no?
Bisogna intendere quale è la mia città, sono nato a Trieste, ho vissuto l'infanzia a Genova, ho studiato a Roma, e vivo purtroppo a Milano da una vita, penso bene delle città dove non vivo.

 

Gioco della torre. Chi butta: Ron Arad o Philippe Starck?
Pur stimando ambedue ed avendo interesse per il loro lavoro, li butto entrambi perché li reputo pericolosi per essere esempi del buon design.

 

Le Corbusier o Aalto?
Nessuno dei due.

 

L’arte diventa sempre più riproducibile e il design più esclusivo e artistico?
Questa domanda deve tenere presente che con le nuove tecnologie l'arte ha perso l'individualità che aveva. Ciò non toglie che l'unicum artistico non solo esiste ancora ma ha acquistato dei valori che non aveva mai avuto; le aste e i prezzi mi danno ragione, i pezzi unici non possono essere riprodotti. Il design non diventa né esclusivo, né artistico, anche perché rispetto all'arte entrano in gioco altre varianti e altre figure professionali. Solo alcuni casi di design, vedi anche la mostra attualmente in corso alla Triennale di Milano di Gaetano Pesce, possono rifarsi alla tua domanda.

 

Il minimalismo è una moda o una nuova idea di abitare?
E’ solo una moda, già in fase calante.

 

Enzo Mari ha detto che “progettare è un atto di guerra”.
Sono le enfasi di Enzo Mari, alcune volte condivisibili, altre no.


Comunicazione e impresa sociale

Molto più di un’etichetta. Il marchio doc per l’impresa civile
Di ELENA GRANATA

Sarebbe bello che tra cento anni si potesse dire che l’Italia è stata grande non solo per la sua arte straordinaria, non solo per il cibo che tutti ci invidiano o il design e la bellezza, ma anche per l’economia. Quella dell’impresa sociale e dell’idea che l’economia non sia soltanto in mano a grandi capitali e grandi capitani ma che sia anche la capacità di generare ricchezze nei territori e nelle comunità, valorizzando creatività sociali e culturali.

Per questo, come Impossible Studio abbiamo voluto veicolare questo messaggio, curando il progetto di comunicazione della XIII Convention di CGM 2018, abbiamo proposto l’immagine di un’etichetta da prodotto. E’ la prima etichetta utilizzata per comunicare contenuti di tipo sociale.

Il sociale, che è un’idea, una visione del mondo, per la prima volta viene descritto come un prodotto made in Italy, buono come la mozzarella di bufala o il pesto ligure. Un prodotto nato e sviluppato dalla creatività italiana.

Lo slogan, Tutta un’altra impresa, le parole chiave, sociale - sostenibile - creativa, ogni dettaglio di questa etichetta comunicano in forma immediata e grafica i valori e i contenuti più ricchi delle imprese sociali. Pochi e selezionati sono i messaggi che intende inviare, l’impresa sociale è un tipo prodotto made in Italy, nel senso che ha alle spalle una tradizione cooperativa di lungo corso ma è anche nuova, nella forma e nelle modalità organizzative. Ha una nuova mission: rigenera persone e luoghi, cercando di interpretare al meglio l’idea che la persona è al centro ma lo sono anche le comunità e i territori. Approccio sociale e territoriale si mescolano in nuove sintesi.